Per dimenticare

Non dimenticare. Questo è il ritornello che ci sorbiamo ogni 25 aprile che Dio manda in terra. A questo se ne aggiungono altri, come l’immancabile “Il 25 aprile deve essere la festa di tutti”, e così via ad alimentare il mare della retorica antifascista. Per fortuna che, una volta esaurite le manifestazioni di rito, la gente se ne torna a casa e dal 26 aprile si torna a parlare d’altro.
In merito al  “Non dimenticare” però, qualcosa da obiettare ci  sarebbe e a tal riguardo, alcune riflessioni del filosofo francese Pascal Bruckner appaiono pertinenti. La prima è quella relativa al “dovere della memoria”, espressione coniata da Primo Levi affinché i racconti dei sopravvissuti ai campi di concentramento non cadessero vittime dell’incredulità. Intenzione in sé lodevole e giusta. Purtroppo, però, col tempo si è trasformata in un vero e proprio culto che intimava a ognuno di coltivare devotamente il ricordo delle passate catastrofi, con il rispetto dovuto ai morti che si è trasformato in morale della vigilanza. Vigilanza inutile, in quanto il dovere della memoria non ci hai mai resi più lucidi sul male attuale, come dimostrano le tragedie della Cina di Mao, della Cambogia di Pol Pot e le innumerevoli carneficine del continente africano.
La verità è che il dovere della memoria è brandito dagli uni solo per suscitare il dovere della penitenza negli altri. Lo storico francese Pierre Nora ci ricorda come il contrario della memoria non è l’oblio, ma è la storia. Infatti, egli sostiene che “la «memoria calda» è l’ordine della fedeltà a se stessi, impone l’identificazione con un gruppo mentre la storia, in quanto scienza critica, è dell’ordine della verità per tutti. Ci protegge dal peccato di anacronismo, rimette gli eventi in una certa continuità e ci vieta di giudicare i secoli passati dall’alto del tribunale del presente”. Insomma, se la memoria condanna, la storia desacralizza, spiega ed espone nei dettagli. La prima divide, l’altra riconcilia. Perciò, alla luce di quanto detto, come si può pretendere che ci sia una memoria condivisa?

Come ci ricorda ancora Pascal Bruckner: “eretta a strumento politico, sulla memoria incombe sempre il risentimento, e disseppellire tutti i cadaveri significa disseppellire tutti gli odi, applicare la legge del taglione a secoli di distanza”. Per i retori della resistenza esistono soltanto delinquenti o puri. Lungi dal volere qualsiasi riconciliazione, il loro è uno spirito di vendetta che desidera far pagare ai contemporanei i crimini dei propri avi. La loro è una memoria armata che ha bisogno di obiettivi per riaccendere tensioni ormai assopite. A differenza della memoria, la storia è fatta sia di ricordi che di oblii comuni, è l’abolizione dei debiti di sangue contratti dai gruppi umani gli uni verso gli altri. Se continuassimo tutti a rimuginare le nostre rimostranze, il mondo sarebbe messo a ferro e fuoco. Secondo Ernest Renan: “Colui che deve fare la storia, deve dimenticare la storia”. L’oblio permette alle nuove generazioni di ricominciare, consentendo loro di cancellare gli obblighi del passato per non portare il fardello di vecchi risentimenti, anche perché quelli attuali già bastano. Il fatto che sempre meno persone conoscano il significato del 25 aprile può comprensibilmente suscitare l’indignazione verso l’ignoranza storica delle nuove generazioni, ma su certi argomenti l’ignoranza spontanea è sempre preferibile a una verità manipolata.

In ogni modo, prendere di petto i sacerdoti della resistenza è ormai inutile, perché certe verità stanno venendo a galla, e il fatto che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbia sentito il bisogno di far cenno a “ombre nella resistenza” è già un segno che qualcosa sta cambiando. Certo, molti fatti relativi alle pagine più oscure della resistenza e dell’immediato dopoguerra sono ancora coperti dal segreto di Stato, ma man mano che i protagonisti diretti di quegli anni verranno a mancare, ostacoli e pregiudizi potranno essere rimossi.

Nel frattempo, sarebbe ora che i sacerdoti della resistenza la smettessero di romperci l’anima con i loro predicozzi moralistici. Per decenni hanno monopolizzato il 25 aprile con le loro bandiere rosse, mentre quelle tricolori erano off-limits perché considerate fasciste. Oggi sbraitano perché il 25 aprile non è sentita come una festa di tutti gli italiani. Cari signori, grazie dell’invito, ma se dobbiamo venire al vostro luna-park solo per fare il bersaglio del vostro tiro al fascista, allora tanto vale optare per weekend al mare. Magari più prosaico, ma anche meno intriso di veleno.  

 

(La Voce  di Romagna, 27/4/2008)

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

  1. #1 di Filippus il Maggio 3, 2008 - 7:30 am

    Allora parlima di ricordi più che di memoria. Ogni volta che penso ai ricordi, mi sembra che la vita avanzi golosa e non lasci il tempo di voltarsi indietro. I miei ricordi sono un punto di vista, una consolazione, una risposta delle esperienze e del gioco a chi pensa di poter vivere senza fermarsi. Sono una risposta a me stesso e danno senso alla mia vita. Il presente si fa, come lotta, come ricerca, come speranza: il passato ci costringe a fermarci e, come calore di fiamma lontana, non brucia anche se è stato doloroso. Più spesso si trasfigura in un tempo di felicità perduta.
    Il tempo di infelicità, di insoddisfazione la memoria lo trasfigura, lo corregge. Trasforma e plasma il passato fino a renderlo, individualmente, come lo si sarebbe voluto. Il passato è immutabile per la storia (la memoria di tutti), non per i ricordi (la memoria individuale). In questa dimensione (penso a mio padre ventenne nel 1943 girare per Roma vestito da prete) perfino la guerra è bella. Il ricordo seleziona e corregge: tanto è passato, e non pesa. Assomiglia più al sogno che alla realtà. Il ricordo non è vita, è affabulazione, è racconto. Così si può arrivare al monumento artistico o letterario, alternativa alla storia che seleziona la memoria di tutti per arrivare a una ricostruzione condivisa: “Alla memoria del tempo perduto”. Bello perchè perduto. Così i ricordi danno senso e significato alla vita. Per non morire ogni giorno. Per questo i miei ricordi non sono più soltanto i miei ricordi.

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