La disumanità dell’inflazione

Cosa c’è di umano nell’economia di oggi? Ben poco, ce ne accorgiamo tutti, ma sulle cause della sua disumanità, non molto sappiamo. L’argomento sul quale meno è ferrato l’uomo comune è l’inflazione, causa prima dell’impazzimento economico attuale. Contrariamente a quanto ci viene detto, l’inflazione non è l’aumento percentuale dei prezzi (+2,2%, quella ufficiale secondo l’ISTAT), bensì l’aumento troppo rapido del denaro in circolazione (+7,3% nel 2005 in Europa) o dei suoi sostituti (credito) rispetto all’aumento dei beni e dei servizi disponibili sul mercato. L’inflazione, quindi, ha come conseguenza l’aumento dei prezzi, ma è causata dalle decisioni delle banche centrali relative a quanta moneta emettere e a quale percentuale fissare il tasso di sconto (più basso è e più c’è rischio di inflazione).
Dall’Economist apprendiamo che nel 2005 l’aumento della massa monetaria (assai più indicativo dell’inflazione reale) è stato il seguente: Australia + 9,1%, Gran Bretagna 11,7%, Canada 7,7%, Danimarca 14,7%, Stati Uniti 8,1%, Unione Europea 7,3%, Cina 19%. I torni delle banche centrali lavorano a pieno ritmo, non c’è che dire. Ci vengano pure a raccontare che secondo l’indice ISTAT i prezzi al consumo aumentano del 2,2% annuo, tanto basta inserire nel paniere attrezzature da giardino, palestre e prodotti di bellezza! Ogni qualvolta aumenta il petrolio la bolletta vola, come pure le spese di trasporto, così che i prezzi dei beni che acquistiamo aumentano ben oltre il 2,2%.

Si apprende inoltre ANSA che nei soli primi due mesi del 2006, il gettito fiscale è cresciuto del 7,1%. Mentre la paghe languono, il gettito IRPEF aumenta del 4,9% (+ 1237 milioni di €). Come è possibile? E che dire del gettito dell’IVA, aumentato del 10,4%(+ 1144 milioni di €) nei primi due mesi del 2006? Siamo diventati tutti cicale? Insomma, l’esazione tributaria cresce e la ricchezza diminuisce. La verità è che tutto rincara, così il gettito dell’IVA aumenta, perché si sa che l’IVA alla fine la paghiamo noi; i commercianti, semplicemente, l’accollano ai consumatori finali. Anche il gettito da evasione è salito, nell’ultimo anno, da 163 a 327 milioni di €.

Se associamo quanto appreso dall’Economist e dall’ANSA abbiamo una dimostrazione di come l’inflazione ci stia rovinando l’esistenza. Non potendo lo Stato tassarci ulteriormente, ricorre all’inflazione, che ci impoverisce ancor di più, ma gli permette di scaricare le colpe sui “commercianti disonesti”. Come sempre, da millenni a questa parte.

Lo Stato è da sempre ricorso all’inflazione per pagare i suoi debiti. Un tempo sviliva il contenuto metallico delle monete, alterandone la composizione delle leghe, aumentando la percentuale di metallo vile (spesso rame) a discapito d quello nobile (oro e argento), ma da quando esiste la moneta fiduciaria (banconote prive di un controvalore in moneta metallica), le possibilità di alterare il valore della moneta sono diventate infinite. Gli Stati concedono il monopolio dell’emissione alle banche centrali, i cui azionisti sono istituti di credito privati, i quali, sfruttando il monopolio concesso loro dallo Stato e imposto coercitivamente al popolo, possono emettere quanta moneta desiderano, tanto non sarà certo lo Stato a impedirlo, dato che ad esso fa gioco una politica inflazionista (si sa, l’inflazione favorisce sempre il debitore!). Ma che interesse hanno le banche a emettere quanta più moneta possibile? Le banche creano (ex nihilo) circa l’80% della moneta sotto forma di credito e da tale operazione traggono gran parte dei propri utili. Le banche conseguono i loro profitti solo in piccola parte dalla differenza tra i tassi attivi (che pagano i prenditori) e quelli passivi (riconosciuti ai depositanti), mentre lucrano soprattutto dal rimborso della moneta creditizia, specie tenendo conto che i prestiti sono in numero 4 o 5 volte superiore a quello dei depositi. Una volta rispettati vincoli di salvaguardia degli interessi dei depositanti e una volta riscossi i costi delle operazioni, le banche possono guadagnare anche se la metà dei prestiti concessi non vengono rimborsati. Di fatto, le banche hanno rischi molto limitati e sono in grado di guadagnare sulle altrui disgrazie.

Posto che Stato e banche traggono benefici dall’inflazione, come si svolge concretamente un processo inflazionistico? Come sostiene Ludwig von Mises, “Un aumento nella quantità di moneta di una comunità significa sempre un aumento dell’ammontare di moneta detenuto da un certo numero di agenti economici. Queste persone hanno una relativa sovrabbondanza di moneta e ciò influenza il loro comportamento sul mercato. Aumenta la loro domanda degli oggetti che desiderano, di modo che anche i prezzi dei beni in questione aumentano. Questo aumento dei prezzi non rimarrà limitato al mercato di quei beni che sono desiderati da coloro che originariamente hanno avuto a disposizione la nuova moneta. Anche coloro che hanno portato questi beni sul mercato vedranno aumentare i loro redditi e potranno domandare con maggiore intensità i beni che desiderano, i quali aumenteranno di prezzo. Così l’aumento dei prezzi continua, con un effetto decrescente, finché tutti i beni, alcuni di più e altri di meno, ne saranno toccato. L’aumento della quantità di moneta non significa un aumento di reddito per tutti gli individui. Al contrario, quegli strati della comunità che per ultimi vengono raggiunti dalla quantità addizionali di moneta subiscono una riduzione dei loro redditi in seguito alla diminuzione del valore della moneta suscitato dall’aumento della sua quantità”. Naturalmente, i primi in ordine di tempo a disporre di moneta aggiuntiva (nel nostro caso i banchieri che emettono moneta) sono i più avvantaggiati, mentre gli ultimi (i percettori di redditi fissi come i lavoratori dipendenti) subiscono una diminuzione del loro potere d’acquisto, occulto, ma non meno reale.

Politiche monetarie inflazionistiche e politiche fiscali basate sul deficit sono strumenti tipici del paradigma keynesiano, secondo il quale è necessario stimolare i consumi per sostenere l’economia. Il consumo, secondo questo paradigma non è il fine dell’attività economica, come buon senso vorrebbe (si produce per consumare, perché si consuma per vivere), ma è il mezzo per far crescere l’economia (si vive per consumare, perché bisogna consumare per incentivare la produzione). Le politiche inflattive creano una sorta di economia tapis-roulant in cui la gente corre sempre di più per avere le stesse cose conducendo un’esistenza sempre più frenetica. Incentivare i consumi provoca nelle persone maggiori aspettative, spesso frustrate, nonché ansia e stress continui, come denotano l’aumento del numero di suicidi e di consumo di psicofarmaci ed è anche immorale, perché, come sosteneva Antonio Rosmini, “La felicità sta nell’appagamento, non nei beni”, mentre secondo Frederic Bastiat “Il desiderio corre e il mezzo gli va dietro zoppicando”. Certo, avere un popolo di consumatori beoti fa comodo al potere politico, il che spiega il successo di certe politiche, ma il nostro desiderio di consumare ci rende deboli presso altri popoli, che a certi beni sanno rinunciare per fare più figli, mentre noi non siamo disposti a rinunciare a nulla, così abbiamo bisogno delle loro prestazioni lavorative nelle nostre fabbriche. Della loro invasione non possiamo proprio più fare a meno.

 (Le Ragioni dell’Occidente, maggio 2006)  

  

 

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